mercoledì 13 gennaio 2021

Dalla carne nuziale il canto dell’Eros divino di Marianna Manzullo (uscito nel numero 160 della rivista Appunti di Viaggio)

 


La pretesa di ogni uomo che viene nel mondo è necessario sia alta: entrare negli sponsali interiori, per ricondurre in unità ciò che abbiamo diviso.
Non si tratta di rubare il fuoco, come novelli Prometeo, ma di accogliere il Fuoco, che arde senza consumare, nella carne nuziale che siamo.
Questo fuoco è l’Eros.
Ma per comprendere su quali passi il nostro cammino verso l’Uno debba rivolgersi è importante chiarire cos’è la carne, perché è nuziale e cosa è l’Eros.
La carne non è il corpo, come spesso erroneamente si pensa, ma la sostanza umana, il principio dell’essere umano.
Dio è di sostanza divina, per intenderci, l’uomo è di sostanza umana e questa si chiama carne.
Il corpo quando entra in risonanza con questa carne manifesta la luce del profondo.
Il termine carne, in ebraico basar, può essere letto come ‘in Principio’ be-re’sit (1).
Questo Principio è il divino nell’umano, il germe del Figlio-Verbo chiamato a pieno compimento in noi.
Basar contiene la radice bar, ovvero figlio e al centro la lettera sin (s), che ha forma, nell’ideogramma primitivo, di un arco teso al massimo che trattiene una freccia pronta a scoccare.
Questa freccia è l’Eros.
L’Eros può, per molti, essere solamente il risultato di pratiche più o meno legittime. Un fare. Neanche un ‘fare l’amore’ che già sarebbe qualcosa, ma un agire legato alla sessualità.
In realtà, Eros è il nome dato a Dio nei primi secoli dell’era cristiana.
Scrive Filoteo Faros: “Ci chiediamo come mai abbiamo tutti dimenticato come il termine eros venisse usato dai padri della chiesa per descrivere quella forza superiore che conduce l’uomo a Dio, quel ‘dono divino’ che Dio stesso ispira nell’uomo (…) il termine eros nella teologia patristica ha sostituito la parola evangelica carità quando quest’ultima era arrivata a descrivere un atteggiamento umano freddo e senza calore (…) di conseguenza, per avere una lettura ‘neptica’ contemporanea del vangelo, dovremmo, dove c’è il termine carità (agape), sostituirlo con il termine eros. Vedremmo, allora, come sia del tutto inaccettabile affermare essere altro l’eros divino e altro l’eros umano” (2).
La carne, nucleo divino dell’uomo, è il luogo del suo compimento attraverso la freccia dell’Eros.
Questa, distolta tuttavia dal suo originario bersaglio, diviene energia psichica, erotica e passionale che disperde.
Eppure…
Questa carne è nuziale.
Lo stesso termine ebraico be-re’sit è anche brit-’es ovvero alleanza di fuoco, alleanza d’amore.
La carne è di origine e finalità nuziali.
Sposare l’altro, sposare se stessi, nella più autentica risonanza al Principio - passando anche per le incoerenze ad esso - è la via per sposare Dio, Principio di tutte le cose.
Questa storia d’amore, a cui l’umanità è chiamata, è mirabilmente narrata in un testo biblico tra i più conosciuti, il Cantico dei Cantici.
Il Cantico è una visione.
Un ritmato susseguirsi di immagini.
Se tuttavia dovessi sintetizzarne la potenza e la profondità in un’unica icona, lo dipingerei come un talamo nuziale di seta rossa.
Due amanti si conoscono, si amano, mentre lentamente, un suono sottile di silenzio, ovvero un vento lieve, muove leggerissime tende di bisso bianco e lì dove si vedevano i due, ad ogni soffio, non si scorge che l’Uno. Le tende velano i due e svelano l’Uno.
Un’immagine questa che tenta di sfiorare la verità non duale di questo capolavoro che fece esclamare a Rabbi Aqiba: “il mondo intero non vale il giorno in cui fu scritto il Cantico dei Cantici!”.
E’ davvero considerato un vertice della rivelazione divina.
Un testo non duale. Perché? Nelle innumerevoli interpretazioni che nel corso dei secoli sono state fatte del libro in questione, molto si è dibattuto se il Cantico fosse espressione dell’amore umano o simbolo dell’amore divino.
A me non spetta disputare sulla questione, ma tentare di coglierne il valore mistico, ovvero la possibilità esperienziale.
La mistica è esperienza del sacro e non è roba per èlite particolari: è la possibilità che sta dietro ad ogni cosa, una possibilità aperta a tutti.
Il mistico è colui/colei che si arrende all’essenziale della vita e lo accoglie in tutte le cose: l’essenziale per l’uomo, che ne sia consapevole o meno, è Dio.
‘Il posto dell’uomo è Dio’ scriveva secoli fa Ruperto di Deutz e quindi questo luogo è ovunque vi sia l’umanità.
Cosa altro è, se non questo, l’incarnazione di Cristo?
‘La carne è il cardine della salvezza’ suona un antico assioma cristiano che con i secoli è stato scolorito della sua forza, del suo impeto.
Dopo Cristo, Dio fattosi carne, ognuno ha la consapevolezza di una possibilità unitiva con il divino nella propria stessa carne, che è nuziale.
La carne, con la sua esperienza nel corpo che siamo, è una mappa per il viaggio verso il compimento di sé. E’ il vero talamo che ci conduce, di generazione in generazione, ovvero attraverso sempre nuovi parti di noi a noi stessi, alla nostra vera natura, che è divina.
E’ dunque della natura dell’Eros non essere duale, divisibile.
Ecco perché il Cantico dei Cantici narra senza soluzione di continuità di questo amore umano e divino, divino e umano che è nell’uomo.
E’ l’uomo il palcoscenico di questo spettacolo dell’amore.
E’ nell’uomo la ricapitolazione del Cielo e della Terra, di ciò che è in basso e ciò che è in alto.
E’ l’Eros che muove le nostre cellule, le parole, il canto, che fa brillare le stelle e sussurrare i fili d’erba, è l’Eros che ci orienta all’altro non con desideri di supremazia e conquista ma con la libertà di chi sa che l’altro è un confine sempre in movimento.
E’ erotico il desiderio che l’uomo ha di Dio e che Dio ha dell’uomo!
E’ l’Eros questa forza vitale, creativa, conservativa, propulsiva che non cerca appagamento ma sempre nuovi campi di incontro.
Nel testo questa dinamica sempre aperta è molto evidente nel susseguirsi delle immagini di lontananza, ricerca, incontro.
I due amanti percorrono tutti i luoghi cercandosi, incontrandosi.
Questa movimento è il nostro potenziale quotidiano.
Ciascuno può vivere la vita aspettando che passi, come mero spettatore di alterne vicende, o scegliere, come la sposa del Cantico che dice ‘sono malata d’amore’, di vivere come un’innamorata insaziabile di vita.
Essere questo vuol dire essere nell’Eros e le sue potenzialità trasformative.
Annick De Souzenelle, una straordinaria autrice francese che ha partorito pagine di inestimabile bellezza sulla Scrittura, traduce il verso famosissimo del Cantico “forte come la morte è l’amore” con “solo la forza dell’amore rende capaci di mutazioni” - la morte è mutazione - (Ctc 8, 6).
Solo in questa forza dell’Eros in noi possiamo avanzare fino al compimento.
L’Eros nell’uomo è una freccia che non tende che al suo bersaglio che è sempre l’Eros, perché questo Eros, ricordiamolo, è Dio.
Se io vivo in questo Eros e questo Eros vive in me cosa ne risulta?
Allora non c’è un domani se viviamo in questo amore. Non c’è un passato, un futuro.
C’è un presente gravido di infinito che gronda, come “la mirra sulla maniglia del chiavistello” (Ctc 5, 5) della Sulamita, e tocca a noi aprire.
Allora non c’è un Eden a cui giungere ma un ‘luogo di delizie, di godimento’ (traduzione del termine pardes, paradiso) in cui essere.
Nella mia carne, qui ed ora.
Nelle mie relazioni, che sono tutte in questo Eros, nel mio toccare le cose, annusare le cose, plasmare la materia, morire finanche.
Morire non è che un atto erotico, un respirare ancora nel Soffio Uno fino al compimento.
Ma come riuscire in questa impresa dell’essere presenti a se stessi mentre l’Eros è presente?
Sembra facile detto a parole (a chiacchiere siamo bravi tutti si dice, no?) ma non lo è perché la mistica, ovvero l’esperienza del divino qui ed ora, è semplice.
E ridurre la vita al semplice non è facile.
Scrive Thomas Merton: “Senza coraggio non potremo mai arrivare alla vera semplicità”.
Ci vuole coraggio, dal latino cor habeo = avere cuore.
Il cuore, inteso come centro dell’essere, è il luogo dell’equilibrio, dell’equanimità, della bellezza.
Tornare al cuore è rientrare in se stessi e divenire cercatori nel quotidiano, dell’inaspettato, del non conosciuto, dell’altro, del fuori programma, del Tutto Possibile.
Solo rientrando in se stessi è possibile riconoscere l’Eros e riconoscersi guardandosi negli occhi.
Simeone il Nuovo Teologo afferma che nel vero Eros, l’uomo non solo vede tutto l’altro in ogni parte del suo corpo, ma in ogni parte del corpo dell’altro vede l’immagine di Dio e Dio stesso.
Quanti baci sprecati, quante carezze frettolose potevano essere passaggi fondamentali nella nostra storia personale e comunitaria? Sì, perché siamo Uno e ciò che uno vive lo vive l’intero corpo dell’umanità. Quanti sguardi non corrisposti lì dove c’era la possibilità di scambiarsi il paradiso!
Ma c’è sempre una possibilità, c’è ancora una possibilità.
“Ecco l’inverno è passato – dice il Diletto alla sua bella Sulamita –
è cessata la pioggia, se n’è andata.
I fiori sono sbocciati sulla terra.
E’ tornato il tempo delle canzoni,
nella nostra terra si sente già la voce della tortora,
il fico ha già maturato i suoi giovani frutti
e la vigna in fiore profuma.
Alzati, amica mia, e va’ verso te” (Ctc 2, 11-13).
Vieni, infatti può essere tradotto con ‘va verso te’, come l’invito che fu rivolto ad Abramo lech lechà.
C’è sempre una possibilità di rinascita nelle nostre vite, anche quando tutto sembra solo Inverno e assenza di canto.
Perchè?
Perchè noi siamo l’arco che tende la freccia e dentro di noi è lo stesso bersaglio.
Amartìa in greco, hata in ebraico, sono i termini con cui si indica il peccato e vogliono dire letteralmente ‘mancare il bersaglio’.
Uscire dal paradiso, dal giardino di balsami e aromi che siamo, è un mancare il bersaglio.
Tuttavia la nostra carne è ancora una freccia pronta a puntare e scoccare.
Ed è nuziale: nello sposare l’altro, nello sposare sé, nello sposare Dio.

Possano i nostri ‘piedi belli’ volgersi ed esclamare, con la potenza dell’Eros: ‘alla sua ombra cui anelavo, mi siedo’ (Ctc 2, 3) e trasformare il mondo, dentro come fuori, nell’Eden ritrovato.

Note
(1)Per il lavoro circa la terminologia ebraica è possibile consultare i testi di Annick De Souzenelle, Alliance de Feu, ed. Albino Michel o Simbologia del corpo umano, ed. Servitium.
(2) F. Faros, La natura dell'Eros, Servitium.

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