domenica 21 febbraio 2021

lunedì ~ Poetry & Laundry


Un albero

Tutti gli alberi erano maestri, indistintamente, nell’animismo infantile.
Poi piano piano uno è emerso fra tutti.
Allora, era un piccolo Noce con un esile tronco e ardimentosi rami. Un utero in basso – così mi pareva la piccola conca di corteccia ai suoi piedi – e silenzio intorno.
Ci andavo con timore lì, nel mio giardino delle fate, tuttavia ero attratta, calamitata da quell’arbusto. Dovevo. Volevo.
Siamo cresciuti insieme.
Mi ha dato riparo, mi ha presa in braccio quando ero sfinita, consolata quando ero triste. Ha cantato con me, guardato con me, oltre l’orizzonte.
Sono mutata mentre il Noce mutava, ed oggi, l’utero in basso è diventato un cuore in alto. Il suo tronco si erge maestoso e i suoi rami si estendono intorno come la volta di un tempio. Il silenzio è sempre lì.
Il mio albero, che in realtà non era mai stato mio perché quel terreno in cui m’intrufolavo aveva un proprietario, oggi è mio davvero, per dono.

Io-Tu. Questo è sempre stato il dono del Noce. Una relazione che espandeva i confini della mia relazione con me stessa.
Io -Tu. Una separazione per conoscere, per andare più in là. Fino a Dio.

C’è sempre una separazione all’inizio della vita.
Si conosce l’integro attraverso il diviso.

Anche quando mi trovai, per la prima volta, in totale solitudine in un eremo di città, l’Io-Tu fu la divisione che diede avvio alla comunione più profonda.
Nella cappella che profumava di legno e incenso, mi sentii – per la prima volta – completamente sola.
Il Dio, che avevo riempito delle mie parole, taceva.
Ero un Adam senza soffio.
Questo provai con estrema chiarezza, una sera, passeggiando nel giardino dell’eremo: il baratro di una solitudine che toglieva le parole.

Fu allora che cominciai a conoscere Dio.
Tacendo.

Di fronte a me cadeva la proiezione delle mie parole, dei miei canti, delle preghiere. Cadevano le stampelle.
Inciampavo, come a tentoni, nel silenzio.
E poi… il Soffio di un Vento gentile.
Tra le chiome mie e del Noce.
Nel silenzio mio, che m’ero fatta eremo di città.
E la più grande compagnia ha balenato il suo fulgore in ogni attimo vissuto, indietro nel tempo, nel presente e avanti, come una promessa.

Io Sono. Nulla più poteva dirsi.

Quando ho ricominciato a parlare era per essere freccia scagliata da quel Vento, dal Suono Sottile del Silenzio.

Che le mie parole
siano fedeli al Silenzio
come il Noce, a cui corro ancora, è fedele alla sua mutazione.

Marianna 

Nessun commento:

Posta un commento